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Storia

LA COLLEZIONE

La collezione Archeologica Faldetta è ospitata all’interno della Palazzina del Belvedere sul lungomare di Brindisi. La palazzina, nata agli inizi del XX secolo come sistemazione finale alla scalinata virgiliana, si trova a pochi passi dalle Colonne Romane e da quella che si sostiene essere la casa dove morì il poeta Virgilio nel 19 a.C. La terrazza panoramica, detta appunto “del Belvedere” si affaccia sul porto, che fu scenario del combattimento tra Cesare e Pompeo durante l’assedio di Brindisi nel 49 a.C.

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Come ordinariamente accade con le raccolte archeologiche private, risulta purtroppo perso ogni dato relativo alla provenienza e al contesto di origine dei reperti, sicché l’individuazione delle fabbriche e la stessa datazione dei singoli oggetti sono da considerarsi generiche e sono basate su valutazioni stilistiche o formali. È possibile comunque ritenere che i 363 reperti siano essenzialmente di provenienza pugliese.

La collezione è stata sottoposta a tutela ai sensi della Legge 1 giugno del 1939 n. 1089, con decreto Ministeriale 18 ottobre 1978 proposto dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia.

I reperti ivi conservati coprono un arco cronologico che va dalla fine dell’età del Bronzo recente, con la giara a staffa micenea pertinente al TE IIIB, al Medioevo.

Il nucleo più cospicuo è composto da vasi in terracotta e figurine fittili, ma non mancano reperti in altri materiali quali bronzo, vetro e pasta vitrea.

Tra la ceramica di importazione sono presenti aryballoi piriformi e globulari ed alabastra corinzi, databili tra il VII ed il VI secolo. a.C. abbondantemente attestati in tutto il bacino mediterraneo ed in Italia centro-meridionale. I motivi decorativi sono quelli tipici della ceramica corinzia: fregi zoomorfi con animali reali o fantastici, scene di combattimento e raffigurazioni mitologiche.

Oltre alle importazioni corinzie sono presenti 10 esemplari di ceramica attica a figure nere, principalmente lekythoi con scene di combattimento e cortei dionisiaci. La ceramica attica a figure nere era considerata un vero e proprio bene di prestigio dalle élites locali tanto che i tentativi di imitazione non riuscirono a soppiantare l’importazione che dominò il mercato per la sua superiorità grazie al particolare ed imitabile colore rosato dell’argilla.

Tipiche dei contesti magno greci arcaici sono le coppe ioniche, diffuse con l’affermarsi della consuetudine del simposio che favorì il fiorire di questa tipologia vascolare, così da essere realizzata in ambito coloniale e da diventare qualitativamente all’altezza dei modelli originali. Esemplari di coppe di tipo ionico B1 e B2, prodotte localmente sono conservate all’interno della palazzina.

Fulcro della collezione è la ceramica italiota a figure rosse, i cui esemplari sono quasi tutti appartenenti alla produzione apula. Oltre alle diverse forme vascolari, nella palazzina sono presenti 6 crateri a campana. Di rilievo è il cratere con la raffigurazione di una scena teatrale, attribuito al pittore di Tarporley, ceramista apulo attivo tra la fine del V secolo a. C. e gli inizi del IV secolo a. C. Tipico di questa personalità è la rappresentazione di scene figurate con una maschera teatrale, ma ciò che rende raro e peculiare l’esemplare conservato nella palazzina è la presenza di ben due maschere teatrali femminili nella stessa scena. Pertinente alla cerchia del pittore di Tarporley (forse il seguace “Long Overfalls Group”) e connesso al mondo del teatro, è il cratere con la scena dell’Orestea di Eschilo. Nella rappresentazione è presente Oreste inseguito da una delle Erinni, ed Apollo. Quest’ultimo, forse per un ripensamento del ceramista, viene rappresentato con una lancia anziché il tipico ramo di alloro, perdendo così gli attributi tipici del dio e risultando una semplice figura stante.

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La raccolta comprende anche vasi di ceramica a vernice nera sovraddipinta, cd. nello stile di Gnathia, decorata con motivi vegetali e zoomorfi ed elementi plastici quali baccellature ed anse con nodo erculeo ad imitazione di modelli vascolari metallici.

Essendo circondati da importanti centri messapici, abbondante è la presenza nella collezione di ceramica indigena, acroma e geometrica e subgeometrica. La forma caratteristica di questa classe è la trozzella, il cui nome deriva dall’elemento cilindrico posizionato sulle anse, chiamato in dialetto locale “trozza”.

Accanto alle lucerne di varie tipologia (dal tipo apulo a vernice nera al tipo africano) sono presenti esemplari di coroplastica. Quest’ultima si diffuse inizialmente nell’area tarantina, quindi in ambito coloniale, da una matrice greca che nel tempo sviluppò in uno stile autonomo ed indipendente, dando origine in seguito, alla nascita di nuove botteghe nel mondo apulo come Canosa, Ruvo ed Egnazia. Purtroppo la mancanza di dati sulla provenienza non permette di determinare l’ambito di produzione delle statuette fittili.

Una vetrina è dedicata alle fibule in bronzo databili tra il VI ed il IV secolo a. C. ed altri oggetti in metallo di età romana come uno specchio, pinzette chirurgiche, anelli ed una stadera.

L’esposizione si chiude con contenitori in vetro soffiato, pasta vitrea, sculture e statuette in terracotta di provenienza indiana.

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